IL PATTO (o TRATTATO) DI LONDRA, 26 APRILE 1915
I Patto fu sottoscritto in gran segreto a Londra il 26 aprile 1915, dai rappresentanti di Italia (ambasciatore Imperiali), Francia, Gran Bretagna e Russia. Dopo molti mesi di neutralità, l'Italia si staccava definitivamente dalla Triplice Alleanza e si impegnava ad entrare in guerra a fianco della Triplice intesa entro trenta giorni, dichiarando guerra all'Austria-Ungheria.
Il testo del trattato (redatto in lingua francese) fu reso pubblico nel 1917 dal governo bolscevico, dopo la presa del potere in Russia, per denunciare la politica imperialista delle potenze.
Il governo italiano aveva avviato trattative con il governo di Vienna dopo l'inizio della guerra per ottenere dei compensi territoriali in cambio della neutralità. Il governo austriaco all'inizio si mostrò poco disponibile al dialogo. Nel marzo 1915 grazie all'intervento di von Bulow, ambasciatore tedesco a Roma, l'Austria fece conoscere la sua disponibilità a discutere la cessione di alcuni territori. Le trattative si arrestarono però quando l'Italia pretese di inserire tra i compensi anche Trieste, città alla quale Vienna non voleva rinunciare.
Il governo italiano, già dal mese di febbraio aveva allacciato trattative con le potenze dell'Intesa, che portarono il 26 aprile 1915 alla firma del Patto di Londra, in base al quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese, ottenendo, in caso di vittoria, il Trentino, il sud Tirolo fino al Brennero, Trieste, l'Istria e la città di Valona in Albania.
Questa decisione fu presa da un ristretto gruppo di esponenti del governo, quali Salandra, Sonnino, d'accordo con il re. Giolitti, che godeva dell'appoggio di un consistente numero di parlamentari, fu lasciato all'oscuro delle trattative in corso. Nel maggio 1915 il governo aveva la necessità di ottenere il conferimento di pieni poteri dal Parlamento. Giolitti, che godeva di un ampio consenso alla Camera (come dimostra l'episodio dei biglietti da visita) tentò di opporsi all'intervento in guerra dell'Italia. Contro di lui furono organizzate, con il consenso del governo Salandra-Sonnino, violente manifestazioni di piazza. La Piazza, guidata dai nazionalisti e da Gabriele D'Annunzio rientrato dalla Francia, accusò Giolitti di essere nemico e traditore della patria. Queste manifestazioni furono definite, dalla retorica nazionalista, le "radiose giornate di maggio". Grazie a queste manifestazioni il governo scavalcò la volontà parlamentare.
Quando Giolitti si rese conto che il re aveva preso un impegno con le potenze dell'Intesa preferì ritirarsi, per non aprire una crisi istituzionale e per non mettere in difficoltà la monarchia. Nella seduta (storica e tragica) del 20 maggio 1915 la Camera dei deputati (con l'eccezione dei socialisti) votò convinta o rassegnata il conferimento dei pieni poteri di guerra al governo. Erano presenti in tribuna gli ambasciatori di Francia, Russia e Inghilterra. D'Annunzio fu trascinato in spalla dalla folla.
Il 24 maggio 1915 il governo italiano dichiarò ufficialmente guerra all'Austria.
Pubblichiamo qui in basso alcune fotografie e illustrazioni dei discorsi tenuti da Gabriele d'Annunzio (A Roma e a Quarto, vicino Genova) nelle cosiddette "radiose giornate" del maggio 1915, e una foto della storica seduta della Camera dei Deputati del 20 maggio 1920 che conferì i pieni poteri al governo, sancendo di fatto l'ingresso in guerra dell'Italia.
Sono di seguito riportati 4 importanti documenti storici
1. Il Patto di Londra (26 aprile 1915) con una carta che evidenzia i territori promessi all'Italia dalle potenze dell'Intesa in caso di vittoria;
2. Il testo della dichiarazione di guerra, presentata al governo asutriaco dal nostro ambasciatore a Vienna (23 maggio 1915);
3. La circolare del ministro degli Esteri Sonnino (Roma, 23 maggio 1915), indirizzata alle rappresentanze diplomatiche, dove si spiegano le ragioni dell'ingresso in guerra;
4. Il Proclama ai soldati di re Vittorio Emanuele III (24 maggio 1915).
Le clausole del trattato
Sono di seguito riportati 4 importanti documenti storici
1. Il Patto di Londra (26 aprile 1915) con una carta che evidenzia i territori promessi all'Italia dalle potenze dell'Intesa in caso di vittoria;
2. Il testo della dichiarazione di guerra, presentata al governo asutriaco dal nostro ambasciatore a Vienna (23 maggio 1915);
3. La circolare del ministro degli Esteri Sonnino (Roma, 23 maggio 1915), indirizzata alle rappresentanze diplomatiche, dove si spiegano le ragioni dell'ingresso in guerra;
4. Il Proclama ai soldati di re Vittorio Emanuele III (24 maggio 1915).
Il discorso di D'Annunzio (17 maggio 1915), ringhiera del Campidoglio |
D'Annunzio al Teatro Costanzi di Roma (ora teatro dell'Opera) il 14 maggio 1915 |
D'Annunzio a Quarto il 5 maggio 1915 |
La storica seduta del 20 maggio 1915. La Camera dei deputati conferisce poteri straordinari di guerra al governo Salandra |
Le clausole del trattato
Il trattato prometteva all'Italia, al momento della pace, diversi vantaggi territoriali: il Trentino e il Tirolo cisalpino (ossia la provincia di Bolzano); Trieste, Gorizia e Gradisca; l'Istria fino al Quarnaro, le isole istriane di Cherso, Lussino, e altre piccole isole, abitate prevalentemente da slavi; la provincia di Dalmazia (coste italiane, entroterra abitato da croati) nei limiti amministrativi dell' Impero austro-ungarico, nonché tutte le isole situate a nord e a ovest della provincia; la sovranità sulle isole del Dodecaneso che l'Italia aveva occupato durante la guerra con la Turchia (1912); qualche compenso coloniale nel caso che Francia e Gran Bretagna aumentassero i loro domini a spese della Germania. Il patto non includeva Fiume, per opposizione della Russia. Fu deciso che il Patto sarebbe rimasto segreto.
Il Patto fu negoziato nella presunzione che alla fine della guerra sarebbe rimasto un impero austro-ungarico. Quando i vincitori sedettero al tavolo della pace, l' Austria-Ungheria si era invece dissolta e nell'Adriatico era nato uno Stato nuovo, il Regno dei serbi, croati e sloveni. Le potenze vincitrici ritennero a Versailles che la sovranità della Dalmazia fosse necessaria al nuovo Stato.
Come ha scritto lo storico, ambasciatore ed editorialista Sergio Romano, in un articolo apparso nel 2006 su «Il Corriere della Sera»
«Se la Dalmazia era prevalentemente croata, Fiume invece era in gran parte italiana. Ma il presidente degli Stati Uniti si incaponì e la richiesta della delegazione italiana, guidata da Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, venne respinta. Il resto, caro Caselli, è una delle pagine più turbolente della nostra storia nazionale. Nel marzo del 1919 Orlando e Sonnino abbandonarono la conferenza della pace nella speranza che un gesto di rottura avrebbe indotto gli Alleati a cambiare opinione. Ma non ottennero nulla e dovettero tornare a Parigi in maggio per non perdere gli altri vantaggi territoriali che la firma del trattato di pace avrebbe garantito al Paese. In Italia, tuttavia, la questione di Fiume divenne il terreno su cui crebbe impetuosamente nei mesi seguenti la teoria della «vittoria mutilata» e della pace tradita. Un poeta, Gabriele D' Annunzio, divenuto in quei mesi il simbolo del nazionalismo frustrato, entrò nella città alla testa di 2500 uomini e ne fece una specie disignoria rinascimentale con qualche tocco socialista, se non addirittura sovietico. Toccò al governo Giolitti, poco più di un anno dopo, tagliare bruscamente il nodo della crisi. Concluse un trattato con la Jugoslavia che riconosceva a Fiume lo statuto di città libera e intimò a D' Annunzio di andarsene. E quando il poeta respinse l' ultimatum, dette ordine al generale Caviglia di passare all' uso delle armi. Le operazioni militari durarono dal 24 al 29 dicembre e provocarono 43 morti. Un proiettile della nave Andrea Doria colpì il cornicione d' una finestra accanto a quella di D' Annunzio. Il poeta e i suoi legionari lasciarono Fiume nei giorni seguenti. Più tardi, nel 1924, Mussolini concluse con la Jugoslavia un nuovo accordo e ottenne che la città passasse all' Italia. Rimase italiana sino alla primavera del 1945 quando venne occupata dalle forze di Tito e incorporata alla Crozia. Fu dunque, caro Caselli, ungherese fino al 1918, dannunziana fino al 1920, libera sino al 1924, italiana sino alla seconda guerra mondiale ma sotto amministrazione militare tedesca fino al 1945, jugoslava fino al 1991; ed è oggi croata».
Il Patto fu negoziato nella presunzione che alla fine della guerra sarebbe rimasto un impero austro-ungarico. Quando i vincitori sedettero al tavolo della pace, l' Austria-Ungheria si era invece dissolta e nell'Adriatico era nato uno Stato nuovo, il Regno dei serbi, croati e sloveni. Le potenze vincitrici ritennero a Versailles che la sovranità della Dalmazia fosse necessaria al nuovo Stato.
Come ha scritto lo storico, ambasciatore ed editorialista Sergio Romano, in un articolo apparso nel 2006 su «Il Corriere della Sera»
«Se la Dalmazia era prevalentemente croata, Fiume invece era in gran parte italiana. Ma il presidente degli Stati Uniti si incaponì e la richiesta della delegazione italiana, guidata da Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, venne respinta. Il resto, caro Caselli, è una delle pagine più turbolente della nostra storia nazionale. Nel marzo del 1919 Orlando e Sonnino abbandonarono la conferenza della pace nella speranza che un gesto di rottura avrebbe indotto gli Alleati a cambiare opinione. Ma non ottennero nulla e dovettero tornare a Parigi in maggio per non perdere gli altri vantaggi territoriali che la firma del trattato di pace avrebbe garantito al Paese. In Italia, tuttavia, la questione di Fiume divenne il terreno su cui crebbe impetuosamente nei mesi seguenti la teoria della «vittoria mutilata» e della pace tradita. Un poeta, Gabriele D' Annunzio, divenuto in quei mesi il simbolo del nazionalismo frustrato, entrò nella città alla testa di 2500 uomini e ne fece una specie disignoria rinascimentale con qualche tocco socialista, se non addirittura sovietico. Toccò al governo Giolitti, poco più di un anno dopo, tagliare bruscamente il nodo della crisi. Concluse un trattato con la Jugoslavia che riconosceva a Fiume lo statuto di città libera e intimò a D' Annunzio di andarsene. E quando il poeta respinse l' ultimatum, dette ordine al generale Caviglia di passare all' uso delle armi. Le operazioni militari durarono dal 24 al 29 dicembre e provocarono 43 morti. Un proiettile della nave Andrea Doria colpì il cornicione d' una finestra accanto a quella di D' Annunzio. Il poeta e i suoi legionari lasciarono Fiume nei giorni seguenti. Più tardi, nel 1924, Mussolini concluse con la Jugoslavia un nuovo accordo e ottenne che la città passasse all' Italia. Rimase italiana sino alla primavera del 1945 quando venne occupata dalle forze di Tito e incorporata alla Crozia. Fu dunque, caro Caselli, ungherese fino al 1918, dannunziana fino al 1920, libera sino al 1924, italiana sino alla seconda guerra mondiale ma sotto amministrazione militare tedesca fino al 1945, jugoslava fino al 1991; ed è oggi croata».
Territori del confine orientale e dell'Adriatico accordati all'Italia a seguito del Patto di Londra del 26 aprile 1915 (Trieste, Gorizia, Istria e Dalmazia). Fiume è esclusa. |
Si riportano qui gli articoli 4-16 del Patto.
Articolo 4. Secondo il Trattato di Pace, l’Italia dovrà ricevere il Trentino, il Tirolo Cisalpino con il suo confine geografico naturale (la frontiera del Brennero), oltre che Trieste, le contee di Gorizia e Gradisca, tutta l’Istria fino al Quarnaro, comprese Volosca e le isole istriane di Cherso e Lussino, oltre che le piccole isole Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro di Nembi, Asinello, Gruica, e isolotti vicini. Nota. Il confine necessario ad assicurare che il presente Articolo 4 verrà attuato dovrà essere tracciato come segue: Dal Piz Umbral fino a nord dello Stelvio, dovrà seguire la cima delle Alpi Resie fino alle sorgenti dell’Adige e dell’Eisach, seguendo poi i monti Brennero e Reschen e le alture Oetz e Ziller. Il confine dovrà poi piegare verso sud, attraversare il Monte Toblach e congiungersi all’attuale confine delle Alpi Carniche. Esso dovrà seguire questa linea di frontiera fino al Monte Tarvisio e dal Monte Tarvisio lo spartiacque delle Alpi Giulie attraverso il Passo del Predil, il Monte Mangart, il Tricorno e lo spartiacque dei Passi Podberdo Podlaniscam ed Idria. Da questo punto il confine dovrà seguire una direzione sud-orientale verso lo Schneeberg, lasciando l’intero bacino del Sava e dei suoi affluenti al di fuori del territorio italiano. Dallo Schneeberg il confine dovrà scendere fino alla costa in modo tale da comprendere nel territorio italiano Castua, Mattuglie e Volosca.
Articolo 5. All’Italia dovrà anche essere data la provincia della Dalmazia entro i suoi attuali confini amministrativi, comprese a nord Lisarica e Tribania; a sud fino alla linea che inizia da Capo Planka sulla costa e segue ad est le cime delle alture che formano lo spartiacque, in modo tale da lasciare al territorio italiano tutte le valli ed i fiumi che scorrono verso Sebenico, come ad esempio il Cicola, il Kerka, il Butisnica ed i loro affluenti. Essa dovrà anche avere le isole situate a nord e ad ovest della Dalmazia, da Premuda, Selve, Uldo, Scherda, Maon, Pago e Patadura a nord, fino a Meleda a sud, comprese Sant’Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Tercola, Curzola, Cazza e Lagosta, oltre che gli scogli ed isolotti confinanti e Pelagosa, con l’eccezione di Zirona Grande e Piccola, Bua, Solta e Brazza. Dovranno essere territori neutrali: 1) L’intera costa da Capo Planka a nord fino alla base meridionale della Penisola di Sabbioncello a sud, in modo tale da comprendere tutta quanta tale penisola; 2) la parte di costa che inizia a nord in un punto situato a 10 km. a sud del Promontorio di Ragusa Vecchia e che si estende a sud fino al Fiume Voiussa, in modo tale da comprendere il Golfo ed il Porto di Cattaro, Antivari, Dulcigno, San Giovanni di Medua e Durazzo, senza pregiudizio alcuno ai diritti del Montenegro acquisiti sulla base delle dichiarazione redatte tra le Potenze in aprile e maggio del 1909. Poiché tali diritti si applicano solo all’attuale territorio Montenegrino, essi non possono venire estesi a nessun territorio o porto che possa essere assegnato al Montenegro. Pertanto la trasformazione in zona neutrale non potrà essere fatta per nessun tratto della costa ora appartenente al Montenegro. Si dovranno mantenere tutte le restrizioni riguardanti il porto di Antivari che furono accettate dal Montenegro nel 1909; 3) infine, tutte le isole non assegnate all’Italia. Nota. I seguenti territori adriatici dovranno essere assegnati dalle quattro Potenze Alleate alla Croazia, alla Serbia e al Montenegro: nell’Adriatico Settentrionale, l’intera costa dalla Baia di Volosca ai confini dell’Istria fino alla frontiera settentrionale della Dalmazia, compresa la costa che è attualmente ungherese e l’intera costa della Croazia, con il Porto di Fiume ed i piccoli Porti di Novi e Carlopago, oltre che le isole di Veglia, Pervichio, Gregorio, Goli ed Arbe. E, nell’Adriatico meridionale (nella zona che interessa la Serbia e il Montenegro) l’intera costa da Capo Planka fino al Fiume Drina, con gli importanti Porti di SpaIato, Ragusa, Cattaro, Antivari, Dulcigno e San Giovanni di Medua e le Isole Zirona Grande e Piccola, Bua, Solta, Brazza, Jaclian e Calamotta. Il Porto di Durazzo dovrà essere assegnato allo Stato indipendente mussulmano di Albania.
Articolo 6. L’Italia dovrà ricevere piena sovranità su Valona, l’Isola di Saseno ed un territorio circostante sufficiente al fine di assicurare la difesa di questi punti (dal Voiussa a nord e ad est fino circa al confine settentrionale del distretto di Chimara a sud).
Articolo 7. Qualora l’Italia ottenesse il Trentino e l’Istria secondo quanto disposto dall’Articolo 4, assieme alla Dalmazia e le isole dell’Adriatico entro i limiti specificati nell’Articolo 5, e la Baia di Valona (Articolo 6), e se la parte centrale dell’Albania verrà utilizzata per stabilirvi un piccolo stato autonomo e neutrale, l’Italia non dovrà opporsi alla divisione dell’Albania Settentrionale e Meridionale tra il Montenegro, la Serbia e la Grecia, qualora questo fosse il desiderio di Francia, Gran Bretagna e Russia. La costa dal confine meridionale del territorio italiano di Valona (vedi Articolo 6) fino a Capo Stylos, dovrà essere dichiarata neutrale. All’Italia dovrà essere affidato il compito di rappresentare lo Stato d’Albania nelle sue relazioni con le Potenze straniere. L’Italia inoltre accetta di lasciare comunque un territorio sufficientemente ampio ad est dell’Albania al fine di assicurare l’esistenza di una linea di confine tra la Grecia e la Serbia ad ovest del Lago Ochrida.
Articolo 8. L’Italia dovrà ricevere piena sovranità sulle Isole del Dodecanneso che attualmente occupa.
Articolo 9. In generale, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia riconoscono che l’Italia è interessata a mantenere un equilibrio di forze nel Mediterraneo e che, nel caso di scissione totale o parziale della Turchia in Asia, essa dovrebbe ottenere un’equa parte della regione del Mediterraneo adiacente alla Provincia di Adalia, dove l’Italia ha già acquisito diritti ed interessi che sono stati l’argomento di una convenzione italo-britannica. La zona che sarà infine assegnata all’Italia dovrà essere delimitata, al momento di farlo, tenendo debitamente conto degli interessi esistenti di Francia e Gran Bretagna. Gli interessi dell’Italia dovranno essere anche presi in considerazione nel caso in cui venga mantenuta l’integrità territoriale dell’Impero Turco e vengano alterate le zone d’interesse delle Potenze. Se la Francia, la Gran Bretagna e la Russia occuperanno qualsiasi territorio turco in Asia nel corso della guerra, la regione mediterranea che confina con la Provincia di Adalia entro i limiti indicati sopra dovrà essere riservata all’Italia, che avrà diritto ad occuparla.
Articolo 10. Tutti i diritti ed i privilegi in Libia attualmente di pertinenza del Sultano vengono trasferiti all’Italia in virtù del Trattato di Losanna.
Articolo 11. L’Italia dovrà ricevere una quota di ogni indennizzo di guerra in misura proporzionale ai suoi sforzi ed ai suoi sacrifici.
Articolo 12. L’Italia dichiara di associarsi alla dichiarazione fatta da Francia, Gran Bretagna e Russia nel senso che l’Arabia ed i Luoghi Santi mussulmani in Arabia dovranno essere lasciati sotto l’autorità di una Potenza mussulmana indipendente.
Articolo 13. Qualora la Francia e la Gran Bretagna aumentassero i propri possedimenti coloniali in Africa a spese della Germania, le due Potenze sono in linea di principio d’accordo che l’Italia può richiedere equo compenso, soprattutto per quanto riguarda la soluzione a suo favore delle questioni relative alle frontiere delle colonie italiane in Eritrea, Somalia e Libia, e le colonie vicine che appartengono alla Francia e alla Gran Bretagna.
Articolo 14. La Gran Bretagna si impegna a facilitare l’immediata conclusione, sulla base di condizioni eque, di un prestito di almeno 50.000.000 di sterline che dovrà essere emesso sul mercato londinese.
Articolo 15. La Francia, la Gran Bretagna e la Russia sosterranno qualsiasi opposizione l’Italia farà a qualsiasi proposta diretta a far partecipare un rappresentante della Santa Sede in qualsiasi negoziato di pace o negoziato volto a risolvere le questioni derivanti dall’attuale guerra.
Articolo 16. Questo accordo verrà mantenuto segreto. L’adesione dell’Italia alla dichiarazione del 5 settembre 1914 dovrà essere resa pubblica solo subito dopo che venga dichiarata guerra da o contro l’Italia. Dopo aver preso atto del memorandum di cui sopra, i rappresentanti di Francia, Gran Bretagna e Russia, debitamente autorizzati in questo senso, hanno raggiunto il seguente accordo con il rappresentante dell’Italia, anch’egli debitamente autorizzato dal suo Governo: Francia, Gran Bretagna e Russia danno il loro pieno assenso al memorandum presentato dal Governo italiano. In riferimento agli Articoli 1, 2 e 3 del memorandum, che prevedono cooperazione militare e navale tra le quattro Potenze, l’Italia dichiara che scenderà in campo quanto prima possibile e comunque entro un periodo non superiore ad un mese dalla firma di questo documento. In fede di quanto sopra i sottoscritti hanno firmato il presente accordo e vi hanno apposto i propri sigilli.
Fatto a Londra, in quadruplice copia, il 26 aprile 1915.
LA DICHIARAZIONE DI GUERRA ALL' AUSTRIA
Vienna, 23 maggio 1915
Secondo le istruzioni ricevute da S. M.
il Re suo augusto Sovrano, il sottoscritto ha l'onore di partecipare a S. E. il
Ministro degli Esteri d'Austria-Ungheria la seguente dichiarazione:
Già il 4 del mese di maggio vennero
comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l'Italia,
fiduciosa del suo buon diritto, ha considerato decaduto il Trattato d'Alleanza
con l'Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale; lo ha
dichiarato per l'avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà
d'azione.
Il Governo del Re, fermamente deciso di
assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e
degl'interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro
qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli
avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali.
S. M. il Re dichiara che l'Italia si
considera in istato di guerra con l'Austria-Ungheria da domani.
Il sottoscritto ha l'onore di
comunicare nello stesso tempo a S. E. il Ministro degli Esteri austro-ungarico
che i passaporti vengono oggi consegnati all'Ambasciatore Imperiale e Reale, a
Roma.
Sarà grato se vorrà provvedere a fargli
consegnare i suoi.
Duca D’Avarna
IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, A TUTTE LE
RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE
T. CIRCOLARE
319.
Roma, 23 maggio 1915.
Il carattere eminentemente conservativo
e difensivo della Triplice Alleanza risulta evidente dalla lettera e dallo
spirito del Trattato e dalle intenzioni chiaramente manifestate e consacrate in
atti ufficiali dei Ministri che fondarono l'alleanza e ne curarono i
rinnovamenti. Agli intenti di pace si è costantemente ispirata la politica
italiana.
Provocando la guerra europea,
respingendo la risposta remissiva della Serbia, che dava all'Austria-Ungheria
tutte le soddisfazioni che essa poteva legittimamente chiedere, rifiutando di
dare ascolto alle proposte conciliative che l'Italia aveva presentato insieme
ad altre Potenze, nell'intento di preservare l'Europa da un immane conflitto,
che avrebbe sparso sangue ed accumulato rovine in proporzioni mai vedute e
neppure immaginate, l'Austria-Ungheria lacerò colle sue stesse mani il patto
d'alleanza coll'Italia, il quale, fino a che era stato lealmente interpretato,
non come strumento d'aggressione, ma solo come difesa contro possibili
aggressioni altrui, aveva validamente contribuito ad eliminare le occasioni e
comporre le ragioni di conflitto e ad assicurare ai popoli per molti anni i
benefici inestimabili della pace.
L'articolo primo del Trattato
consacrava una norma logica e generale di qualsiasi patto di alleanza, cioè
l'impegno di « procedere ad uno scambio d'idee sulle questioni politiche ed
economiche di natura generale che potessero presentarsi ». Ne derivava che
nessuno dei contraenti era libero di intraprendere, senza previo comune
concerto, un'azione le cui conseguenze potessero produrre agli altri alcun
obbligo contemplato dall'alleanza o comunque toccare i loro più importanti
interessi.
A questo dovere contravvenne
l'Austria-Ungheria coll'invio alla Serbia della sua Nota in data 23 luglio 1914
senza previo concerto coll'Italia. L'Austria-Ungheria violò così
indiscutibilmente, in una delle sue clausole fondamentali, il trattato.
Tanto maggiore era l'obbligo
dell'Austria-Ungheria di previamente concertarsi con l'Italia, in quanto dalla
sua azione intransigente contro la Serbia derivava una situazione direttamente
tendente a provocare una guerra europea. E sino dal principio del luglio 1914
il R. Governo, preoccupato dalle tendenze prevalenti di Vienna, aveva fatto
giungere al Governo I. e R. ripetuti consigli di moderazione ed avvertimenti
sugli incombenti pericoli di carattere europeo.
L'azione intrapresa
dall'Austria-Ungheria contro la Serbia era inoltre direttamente lesiva degli
interessi generali italiani, politici ed economici, nella penisola balcanica.
Non era lecito all'Austria pensare che
l'Italia potesse restare indifferente alla menomazione della indipendenza
serba. Non erano mancati a questo proposito i nostri moniti. Da molto tempo
l'Italia aveva più volte in termini amichevoli ma chiari avvertito
l'Austria-Ungheria che l'indipendenza della Serbia era considerata dall'Italia
come elemento essenziale dell'equilibrio balcanico, che l'Italia stessa non
avrebbe mai potuto ammettere fosse turbato a suo danno. Né ciò avevano detto soltanto
nei privati colloqui i suoi diplomatici, ma dalla tribuna parlamentare lo
avevano altamente e pubblicamente proclamato i suoi uomini di Stato.
L'Austria dunque, aggredendo la Serbia,
con un ultimatum non preceduto, con disdegno di ogni consuetudine, da qualsiasi
mossa diplomatica verso di noi, e preparato nell'ombra, con sì gelosa cura di
tenerlo celato all'Italia, che ne avemmo notizia, insieme al pubblico, dalle
agenzie telegrafiche, prima che per via diplomatica, si pose non solo fuori
dell'Alleanza dell'Italia ma si eresse a nemica degli interessi italiani.
Risultava infatti al R. Governo, per
sicure notizie, che tutto il complesso programma di azione
dell'Austria-Ungheria nei Balcani portava ad una gravissima diminuzione
politica ed economica dell'Italia, perché a ciò conducevano, direttamente ed
indirettamente l'asservimento della Serbia, l'isolamento politico e
territoriale del Montenegro, l'isolamento e la decadenza politica della
Romania.
Questa diminuzione dell'Italia nei
Balcani si sarebbe verificata anche ammettendo che l'Austria -Ungheria non
avesse avuto proposito di compiere nuovi acquisti territoriali.
Giova osservare che il Governo
austro-ungarico aveva esplicito obbligo di previamente concertarsi coll'Italia,
in forza di uno speciale articolo (7) del Trattato della Triplice Alleanza, che
stabiliva il vincolo dell'accordo preventivo ed il diritto a compensi fra gli
alleati in caso di occupazioni temporanee o permanenti nella regione dei
Balcani.
In proposito il R. Governo iniziò
conversazioni col Governo I. e R. sino dall'apertura delle ostilità
austro-ungariche contro la Serbia, ritraendo, dopo qualche riluttanza, una
adesione di massima.
Queste conversazioni erano state
iniziate subito dopo il 23 luglio allo scopo di rendere al trattato, violato e
quindi annullato per opera dell'Austria-Ungheria, un nuovo elemento di vita,
quale poteva derivargli soltanto da nuovi accordi.
Le conversazioni furono riprese con più
precisi intenti nel mese di dicembre 1914.
Il R. Ambasciatore a Vienna ebbe allora
istruzioni di far conoscere al conte Berchtold che il Governo italiano riteneva
necessario procedere senza alcun ritardo ad uno scambio di idee e quindi ad un
concreto negoziato col Governo I. e R. circa la situazione complessa derivante
dal conflitto provocato dall'Austria-Ungheria.
Il conte Berchtold rispose dapprima con
ripulse, concludendo non ritenere fosse il caso di venire per allora ad un tale
negoziato.
Ma, in seguito alle nostre repliche,
alle quali si associò il Governo germanico, il Conte Berchtold fece poi
conoscere di essere disposto a entrare nello scambio di idee da noi proposto.
Esprimemmo allora subito un lato
fondamentale del nostro punto di vista. E cioè dichiarammo che i compensi
contemplati, sui quali doveva intervenire l'accordo, dovevano riflettere
territori trovantisi sotto il dominio attuale dell'Austria-Ungheria.
Le discussioni proseguirono per mesi,
dai primi di dicembre al marzo, solamente alla fine di marzo dal barone Buriàn
ci venne offerta una zona di territorio compresa in limiti lievemente a nord
della città di Trento.
Per questa cessione il Governo
austro-ungarico ci richiedeva a sua volta numerosi impegni a suo favore, fra
cui piena ed intera libertà di azione nei Balcani.
È da notarsi che la cessione del
territorio nel Trentino non doveva, nel pensiero del Governo austro-ungarico,
effettuarsi immediatamente, secondo noi chiedevamo, ma solamente alla fine
dell'attuale conflitto.
Rispondemmo che l'offerta non poteva
soddisfarci, e formulammo il minimo delle cessioni che potevano corrispondere,
in parte, alle nostre aspirazioni nazionali, migliorando equamente la nostra
situazione strategica nell'Adriatico.
Tali richieste comprendevano un confine
più ampio nel Trentino, un nuovo confine sull'Isonzo, una situazione speciale
per Trieste, la cessione di alcune isole dell'Arcipelago Curzolari, il
disinteresse dell'Austria nell'Albania ed il riconoscimento dei nostri possessi
di Valona e del Dodecanneso.
Alle nostre richieste furono opposti
dapprima dinieghi categorici. Solo dopo un altro mese di conversazioni
l'Austria-Ungheria si indusse ad aumentare la zona di territorio da cedere nel
Trentino limitandola a Mezzolombardo, ma escludendo territori italiani come un
lato intero della Vallata del Noce, Val di Fassa e Val di Ampezzo e lasciandoci
una linea non rispondente nemmeno a scopi strategici.
Restava poi sempre fermo il Governo
austriaco nel negare qualsiasi effettuazione di cessione prima del termine
della guerra.
I ripetuti dinieghi
dell'Austria-Ungheria risultarono esplicitamente confermati in un colloquio che
il barone Buriàn tenne col R. Ambasciatore a Vienna il 29 aprile u. s. nel
quale risultò che il Governo austro-ungarico pur ammettendo la possibilità di riconoscimento
di qualche nostro prevalente interesse a Valona e l'anzidetta cessione
territoriale nel Trentino, persisteva a pronunciarsi in modo negativo circa
tutte le altre nostre richieste e precisamente circa quelle che riguardavano
la linea dell'Isonzo, Trieste e le isole.
Dall'atteggiamento seguito
dall'Austria-Ungheria dai primi di dicembre alla fine di aprile risultava
chiaro il suo sforzo dì temporeggiare senza venire ad una pratica conclusione.
In queste condizioni l'Italia si
trovava di fronte al pericolo che ogni sua aspirazione, avente base nella
tradizione, nella nazionalità e nel suo desiderio di sicurezza nell'Adriatico,
si perdesse per sempre; mentre altre contingenze del conflitto europeo
minacciavano i suoi maggiori interessi in altri mari. Da ciò derivava
all'Italia la necessità e il dovere di riprendere la sua libertà di azione cui
aveva diritto e di ricercare la tutela dei suoi interessi all'infuori dei
negoziati condotti inutilmente per cinque mesi ed all'infuori di quel patto d'alleanza
che per opera dell'Austria-Ungheria era virtualmente cessato sino dal luglio
1914.
Non sarà fuori di luogo osservare che
cessata l'Alleanza è cessata la ragione della acquiescenza determinata per
tanti anni nel popolo italiano dal desiderio sincero della pace, mentre
rivivono ora le ragioni della condoglianza per tanto tempo volontariamente
repressa per il trattamento al quale le popolazioni italiane in Austria furono
assoggettate.
Patti formali a tutela della nostra
lingua della tradizione e della civiltà italiana nelle regioni abitate dai
nostri connazionali sudditi della Monarchia non esistevano nel trattato. Ma
quando all'Alleanza si fosse voluto dare un contenuto di pace e di armonia
sincera, appariva incontestabile l'obbligo morale dell'alleato di tener in
debito conto, anzi di rispettare con ogni scrupolo, il nostro vitale interesse
costituito dall'equilibrio etnico nell'Adriatico.
Invece la costante politica del Governo
austro-ungarico mirò per lunghi anni alla distruzione della nazionalità e della
civiltà italiana lungo le coste dell'Adriatico. Basterà qualche sommaria
citazione di fatti e di tendenze ad ognuno già troppo noti: sostituzione
progressiva dei funzionarii di razza italiana con funzionari di altra
nazionalità; immigrazione artificiosa di centinaia di famiglie di nazionalità
diversa; assunzione, a Trieste, di cooperative di braccianti estranei; decreti
Hohenlohe diretti ad escludere dal Comune di Trieste e dalle industrie del
Comune gli impiegati regnicoli; snazionalizzazione dei principali servizi del
Comune di Trieste e diminuzione delle attribuzioni municipali; ostacoli di ogni
sorta alla istituzione di nuove scuole nazionali; regolamento elettorale con
tendenza anti-italiana; snazionalizzazione dell'Amministrazione giudiziaria; la
questione dell'Università, che formò pure oggetto di trattative diplomatiche;
snazionalizzazione delle Compagnie di navigazione; azione di polizia e processi
politici tendenti a favorire le altre nazionalità a danno di quella italiana;
espulsioni metodiche, ingiustificate e sempre più numerose di regnicoli.
La costante politica del Governo I. e
R. riguardo alle popolazioni italiane soggette, non fu unicamente dovuta a
ragioni interne ma attinenti al giuoco delle varie nazionalità contrastanti
nella Monarchia. Essa invece appare inspirata in gran parte da un intimo
sentimento di ostilità e di avversione riguardo all'Italia dominante in alcuni
circoli, più vicini al Governo austro-ungarico ed aventi una determinante
influenza sulle decisioni di questo. Fra i tanti indizi che si possono citare
basterà ricordare che nel 1911, mentre l'Italia era impegnata nella guerra
contro la Turchia, lo Stato Maggiore a Vienna si apparecchiava intensivamente
ad una aggressione contro di noi e il partito militare proseguiva attivissimo
il lavoro politico inteso a trascinare gli altri fattori responsabili della
Monarchia. Contemporaneamente gli armamenti alla nostra frontiera assumevano
carattere prettamente offensivo. La crisi fu sì risoluta in senso pacifico, per
l'influenza, a quanto si può supporre, di fattori estranei; ma da quel tempo
siamo rimasti sempre sotto impressione di una possibile inattesa minaccia
armata quando, per cause accidentali, prendesse sopravvento a Vienna il partito
a noi ostile.
Tutto questo era noto all'Italia ma,
come si disse più sopra, il sincero desiderio della pace prevalse nel popolo
italiano.
Nelle nuove circostanze l'Italia cercò
di vedere, se e quanto, anche per tale riguardo, fosse possibile dare al suo
patto coll'Austria Ungheria una base più solida ed una garanzia più duratura.
Ma i suoi sforzi condotti per tanti mesi, in costante accordo con la Germania,
che venne, con ciò, a riconoscere la legittimità dei negoziati, riuscirono
vani. Onde l'Italia si è trovata costretta, dal corso degli eventi, a cercare
altre soluzioni.
E poiché il patto dell'alleanza con
l'Austria-Ungheria aveva già cessato virtualmente di esistere e non serviva
ormai più che a dissimulare la realtà di sospetti continui e di quotidiani
contrasti, il R. Ambasciatore a Vienna fu incaricato di dichiarare al Governo
austro-ungarico che il Governo italiano era sciolto da ogni suo vincolo
decorrente dal Trattato della Triplice Alleanza nei riguardi
dell'Austria-Ungheria.
Tale comunicazione fu fatta a Vienna il
4 maggio.
Successivamente a tale nostra
dichiarazione e dopo che noi avevamo già dovuto provvedere alla legittima
tutela dei nostri interessi, il Governo I. e R. presentò nuove offerte di
concessioni, insufficienti in sé, e nemmeno corrispondenti al minimo delle
nostre antiche proposte; offerte che, ad ogni modo, non potevano più essere da
noi accolte.
Il R. Governo tenuto conto di quanto è
sopra esposto, confortato dai voti del Parlamento e dalle solenni
manifestazioni del Paese, ha deliberato di rompere gli indugi ed ha dichiarato
oggi stesso in nome del Re all'Ambasciatore austro-ungarico a Roma di
considerarsi da domani, 24 maggio, in stato di guerra con l'Austria-Ungheria.
Ordini analoghi sono stati telegrafati
ieri al R. Ambasciatore a Vienna.
Prego V. E. di render noto quanto
precede a codesto Governo.
IL PROCLAMA DEL RE
Soldati di Terra e di Mare
L'ora solenne delle rivendicazioni
nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il
comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria,
che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno
conseguire.
Il nemico che vi accingete a combattere
è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti
dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio
saprà di certo superarlo.
A voi la gloria di piantare il
tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria
nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo
iniziata dai nostri padri.
Gran Quartiere Generale, 24 maggio
1915.